Martedì 23 Aprile 2024 - Anno XXII

Il Gran Moghul. Storia di un amore eterno e di diamanti

Gran Moghul Taj Mahal Agra

Il Gran Moghul è il primo di una serie di romanzi di Alex Decorner nuova e promettente penna della narrativa d’avventura e di viaggio. Il volume fa parte della collana “Infiniti modi di viaggiare” di Albeggi edizioni

Gran Moghul Mumtaz-Mahal-and-Shah-Jahan
Il Gran Moghul Mumtaz Mahal e la sua amata Shah Jahan

Il Gran Moghul è la storia del grande amore tra lo Shah Jahan, il “Re del mondo” e la sua adorata sposa, la bellissima Mumtaz Mahal, in onore della quale l’Imperatore Moghul fece erigere il Taj Mahal (il Mausoleo di Agra, nell’India settentrionale), divenuto simbolo dell’amore eterno.
In un mirabile affresco, che spazia tra il ‘600 e la seconda metà del secolo scorso, s’inserisce il mistero del più grande diamante mai rinvenuto tra le viscere della terra: il Gran Moghul.
L’autore Alex Decorner con abilità e fantasia ricostruisce il destino del diamante attraverso i secoli, intrecciandolo con le storie di coraggio e fedeltà che coinvolgono i personaggi del libro.
Il volume fa parte della collana “Infiniti modi di viaggiare” di Albeggi Edizioni. Proponiamo ai lettori di Mondointasca il quarto capitolo.

La Caccia al tesoro – Venezia anno 1965

Gran moghul cover
Il Gran Moghul, di Alex Decorner, Albeggi Edizioni, Collana Infiniti modi di viaggiare, pagine 388, € 15, 00.

Nicolò cominciò a scandagliare con gli occhi il pavimento della soffitta, ma sulla superficie visibile, libera da suppellettili o mobili, non si vedeva nulla che potesse far pensare a un nascondiglio. Una volta diviso idealmente il pavimento come una scacchiera, decise di partire dal quadrato A1, che si trovava nell’angolo sotto i due colmi convergenti, per poi procedere con gli altri settori. Bussò sul pavimento con le nocche della mano cercando di capire, dal suono prodotto, se in quel tratto sotto alla tavola ci fosse uno spazio occupato da qualcosa. Non era un metodo molto tecnologico per eseguire la ricerca, ma non gli veniva in mente niente di meglio. Naturalmente per perlustrare la griglia doveva spostare in continuazione oggetti vari, tanto da ritrovarsi, un paio d’ore dopo, sudato, impolverato e ricoperto di ragnatele dalla ai testa ai piedi.

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“Ma cosa mi è venuto in mente?” – Si disse per l’ennesima volta, ma ormai era in ballo e decise di continuare a ballare almeno finché ne aveva la forza. Bussava sulle tavole del pavimento continuando con la tenacia e testardaggine che erano caratteristiche del suo carattere, ma ne riceveva sempre la stessa risposta: vuoto. Dopo circa quattro ore, al limite di una resa provvisoria, si trovava all’angolo opposto a quello da dove aveva cominciato, Bussò con le nocche doloranti sopra una sezione di tavole molto ben disposte e accostate, più o meno al centro di quel quadrato della griglia e questa volta il suono di rimando risultò leggermente cambiato. Batté il legno lì vicino e il suono fu più acuto. Ritornò al punto precedente e il suono fu più sordo. Poteva essere un travetto del pavimento non previsto dai suoi calcoli sul sistema di costruzione del solaio. Oppure … Oppure, lì sotto, c’era veramente qualcosa di occultato con cura per qualche motivo ben preciso. Lettere di un amore segreto di una sua antenata? Un documento scottante di qualche situazione politica passata, o invece qualcosa di prezioso? Forse un tesoro?
L’adrenalina cominciò a scorrere nel corpo del giovane Nicolò. Non era attrezzato per svellere l’asse dell’impiantito in legno, per cu i scese a precipizio per le scale, rischiando di cadere, per procurarsi martello, scalpello e tenaglia adatti allo scopo. Velocemente com’era sceso, fu altrettanto rapido nel risalire. Recuperati gli attrezzi cominciò a darsi da fare vibrando colpi poderosi per togliere i vecchi e grossi chiodi che tenevano bloccate le tavole. I chiodi erano rugginosi e resistenti all’estrazione, data la loro forma quadrata, forgiata a mano, come si usava nei secoli precedenti. Il tempo e l’umidità li avevano cementati tenacemente e dovette sudare per smuoverli di pochi millimetri. Il veneziano non si fece scoraggiare e, raddoppiando lo sforzo, prima un chiodo, poi due, lasciarono la loro presa centenaria e l’asse rettangolare fu libera a una delle due estremità. Infilò il grosso scalpello nella sottile fessura ed esercitò una leva per sollevare la tavola che opponeva resistenza. Dopo qualche minuto di sforzi il legno si sollevò, scricchiolando, producendo uno sbuffo di polvere grigia, che mulinò nell’aria illuminata dai raggi di sole che penetravano nel vecchio solaio. Si era creato uno scenario magico!

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Gran Moghul Venezia
Venezia, vista panoranica dall’alto

La tensione e l’attesa erano al culmine quando, con uno stridore liberatorio, la tavola volò via rivelando qualcosa di polveroso, largo e lungo come un grosso pacco di un metro per cinquanta centimetri circa. Adesso l’adrenalina correva veloce nelle vene del giovane Mannucci. La sua intuizione, che all’inizio aveva considerato poco più di uno scherzo per passare il tempo, si era rivelata invece una premonizione rivelatrice. Qualche oscuro antenato aveva nascosto lassù un pacco perché lui lo trovasse secoli dopo. Possibile che nessuno dei suoi avi avesse avuto la sua stessa curiosità? Perché era toccato proprio a lui? Forse perché si chiamava Nicolò, come quel presunto famoso antenato? Potevano esistere questi tipi di coincidenze dal sapore esoterico e poco realistiche? Eppure da quel che sembrava, per qualche misterioso disegno, qualcuno dal passato gli aveva mandato un inconscio ma preciso messaggio, così adesso Nicolò era in attenta osservazione di quell’involto polveroso per coglierne i dettagli prima di toccarlo. Ne osservò le forme e la disposizione valutandone misure all’interno del vano. Non sembrava un oggetto di metallo né di carta, e neppure di cuoio o stoffa. In effetti, pur se ricoperto da quasi un dito di polvere si intuiva piuttosto la rigidità del legno, quindi poteva essere una cassetta. Nicolò timidamente allungò una mano e toccò l’oggetto, che al latto e sotto la sporcizia si rivelò essere di legno con delle borchie o cerniere metalliche. Lo agguantò deciso aspettandosi qualcosa di molto pesante, che invece sollevò senza particolari sforzi. Si trattava proprio di una cassetta. La posò sul pavimento e, raccolto uno degli stracci, cominciò a spolverarla alla meglio. Nonostante tutto si puliva abbastanza facilmente, segno che non aveva raccolto umidità, rinchiusa e sigillata tra le tavole del solaio.

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