Giovedì 25 Aprile 2024 - Anno XXII

Piste incrociate, diario dal Nordafrica

Quella del deserto è una civiltà viva, povera di tecnologia e raccontata a voce. Il libro di Emilio Borelli, edito da Polaris, è una raccolta di appunti, un compendio di riflessioni esistenziali e spirituali. Riportiamo il capitolo che dà il titolo al libro “Piste incrociate”

Deserto del Nordafrica
Deserto del Nordafrica

È proprio vero che, più credi di aver avviato un percorso nuovo, vergine, più la tua ingenua presunzione verrà a essere mortificata.
Nelle regioni sahariane in particolare, e nelle regioni nordafricane in generale è ben difficile che gli angoli nascosti davvero siano o siano mai stati, completamente, deserti, non frequentati da altri all’infuori di te, in realtà soltanto ultimo – in ordine di tempo – di una catena articolata come il paesaggio che ti circonda.
Camminando su montagne tormentate da una geologia a dir poco bizzosa che nelle ere trascorse pare aver letteralmente strizzato il globo terrestre trasformandone la superficie in una sorta di fisarmonica, circondato da un paesaggio brullo e tanto aspro da confermarti nella sensazione di abbandono e desolazione ti sorprendi a scoprire delle anomalie nella roccia grigia, appena sotto le creste delle falesie, sono tracciati levigati e lucenti di un riverbero inatteso nel pallore opaco delle arenarie, percorsi battuti nel tempo da centinaia, migliaia di piccoli zoccoli, di piedi di pastori, i loro passi si sono fusi, mescolati e confusi con quelli di animali selvatici e di viandanti, di prede e predatori, il loro di volta in volta frenetico oppure cadenzato strofinio ha marcato la roccia in una trama di sentieri altrimenti non percepibili, i tuoi occhi scoprono un nuovo codice della montagna, i tuoi punti di riferimento da quel momento paradossalmente non corrisponderanno ai dettagli più elevati in quota bensì a qualcosa di più sinuoso che non affronta di petto le difficili pareti e le pendenze, le frastagliate morene termoclastiche che sbriciolano la montagna in ciclopiche, faticose gradonate.

Cover 'Piste Incrociate' di Emilio Borelli, ©Polaris Editore, 287pag, 13.00€
Cover ‘Piste Incrociate’ di Emilio Borelli, ©Polaris Editore, 287pag, 13.00€

Sono – questi nastri lucenti – le piste della montagna, diverranno parte di un linguaggio familiare e rassicurante, la aggirano in tutti i suoi sinuosi meandri, ne seguono gli anfratti, ne svelano i ripari, i sepolcri più gelosamente custoditi.
Stavamo seguendo Mourad, nostra giovane guida, su un itinerario per noi assolutamente nuovo, lasciatoci alle spalle il corso dell’oued ci aveva fatto imboccare il mejbed (sentiero, mulattiera) dei pastori, penetravamo una sorta di fitto sottobosco la cui dominante era costituita da una quantità straordinaria di cespugli di rosmarino. Il nostro itinerario ci portava proprio attraverso questa impressionante selva di essenze, il profumo che, sfregandone i rami, si liberava nell’aria, finiva quasi per stordirci. Al centro di questa folta macchia aromatica trovammo una specie di radura, in realtà un uomo e due donne stavano caricando alcuni somari di fascine di rami di rosmarino, ci spiegarono che ne ricavavano un concentrato che veniva poi venduto all’industria cosmetica e farmaceutica, ci indicarono anche, con ampi cenni delle braccia, dove avremmo trovato, in corrispondenza dell’ennesima curva del fiume asciutto quello che era il loro “laboratorio”.
Salendo sempre più in alto sulla montagna era il novembre, le giornate ancora calde – anche la vegetazione cambiava aprendosi in pascoli e radure che ci consentivano di allargare la visuale verso le altre falesie.

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Deserto
Deserto

Non eravamo noi in realtà a decidere il percorso, assecondavamo di volta in volta le bizze della geologia, era la montagna con i suoi nuovi innumerevoli particolari a dettarcene uno, sempre diverso, ad attrarre la nostra attenzione con uno scorcio imprevisto, a crearci disappunto con uno strapiombo impraticabile, che ci costringeva a ripensare il nostro itinerario frantumandone le tappe, non più misurandole con l’ampio respiro delle camminate in cresta bensì sui metri delle nostre corde da parete, unico escamotage – questo – per conservare ancora un pizzico di autonomia, almeno mentale, da logiche che sentivamo non appartenerci e su cui ci affacciavamo timidamente.
Per il resto eravamo completamente liberi, ci eravamo volontariamente astratti dal programmare un rientro al douar dei nostri ospiti prima di notte e ci sentivamo padroni del nostro tempo, dei nostri passi, dal fondovalle un grido ci sorprese mentre scrutavamo, verso nord, l’ennesimo baluginare aranciato della parete viva di una lontana falesia.
Ci chiedemmo chi fosse a gridare, forse un pastore che richiamava il gregge ma il dubbio ebbe poco spazio, un ulteriore verso gutturale, seguito da un borbottio dai toni adirati fece trasalire visibilmente il nostro accompagnatore.

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