Giovedì 25 Aprile 2024 - Anno XXII

Lancia. Una storia d’altri tempi

Censin, o Vincent, un predestinato. Uno che con pochi gesti sa far rombare un motore. Doveva fare l’avvocato, il ragioniere, ma ha preferito fare il meccanico. Sporcarsi le mani per capire i rapporti aurei tra cilindrata, potenza e velocità

Lancia Vincenzo Lancia
Vincenzo Lancia

Giusep, dame un di toi salam…” (dammi uno dei tuoi salami) dice il passeggero, che respira aria di casa. L’auto, nera e lucida, lunga e squadrata, mascherina con lo scudo e i fanali a coppa aggressivi sui grandi parafanghi, porta un nome “greco”, Lambda, ed è appena arrivata a Fobello, Alta Valsesia, fra nuvole di polvere. Si ferma all’Albergo della Posta. Lancia, Censin, come lo chiama l’oste Maffeis, un uomo corpulento, scende dalla sua vettura. Richiude il portello, e sale i tre gradini dell’Albergo.

Cameriere con il grembiulino bianco fa un veloce inchino e Giuseppe si liscia i baffi impomatati. Lui è proprietario dell’albergo, il migliore del paesino che i Lancia hanno nobilitato con la loro presenza e lanciato, per emulazione, tra i luoghi di villeggiatura. Giusep conosce Censin da decenni, ne ha seguito il crescente successo ed è orgoglioso di averlo lì, nell’atrio del suo hotel alpino. “Subit, Censin, subit. Miro, valu a pié” (subito, vallo a prendere) urla al figlio maggiore.

Scena da “Piccolo Mondo Antico”

Comune di Fobello V. Lancia
Il Comune di Fobello a Vincenzo Lancia

Miro va in cantina, stacca dai ganci sulla volta a mattoni un bel salame e lo consegna impacchettato al cavaliere, ricevendone due soldi. Non è il prezzo del salame, è solo la mancia da “bocia”, per quella piccola commissione. Scena da “Piccolo Mondo Antico”. Da villaggio alpino che non ama le mezze misure: case dei montanari, dritte e alte, su per i pendii di Roi, di Santa Maria, del Belvedere; case dei signori, ville incerte sullo stile, eclettiche per necessità, nelle migliori posizioni della conca, a sottolineare una filosofia, il villeggiare, che è sì l’antenata del turismo, della vacanza, me ne è anche lontano anni luce.

Una valle di fatica, con quei pendii ripidi che rendono il lavoro più difficile, più povero. Una valle severa e conciliante allo stesso tempo, con il torrente Mastallone dai meravigliosi angoli di acqua verde, con i sentieri e gli alpeggi dei Walser di Rimella, dove l’architettura montana piemontese della pietra incontra il legno dei “tedeschi” venuti dalla Svizzera.

Dai fratelli Ceriano alla “prima” Fiat

Vincent alla terza Targa Florio nel 1908
Vincent alla terza Targa Florio nel 1908

Uno così non nasce nella piatta Olanda. Preferisce venire al mondo in una piccola valle alpina, in un paese valsesiano sotto il Rosa che porta il nome del faggio (“fo”, in dialetto). Nasce il 24 agosto del 1881 nella villa di famiglia, che il padre, Cav. Giuseppe da Torino, industriale conserviero che esporta in tutto il mondo, ha acquistato in Valsesia. Vincent passa le sue estati tra i boschi di faggi, lungo i sentieri che portano in alto, al lago di Barranca, o ai belvedere sui ghiacciai del Rosa, dove in quegli anni (1893) si costruisce il rifugio più in alto d’Europa, ai 4459 metri della Punta Gnifetti, chiamato “Capanna Margherita” e inaugurato dalla Regina in persona.

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La potenza dei simboli

Lancia Piramide Vincent
Piramide Vincent

Potenza dei simboli. Per arrivarci bisogna passare accanto alla Piramide Vincent. Forse sono proprio quelle estati libere che lo rendono insofferente alla scuola e alle ambizioni paterne di avere un avvocato in famiglia. Forse sono le acque del Mastallone e le sue trote da pescare, a orientarlo verso l’avventura. Trova uno sbocco nel cortile della casa di città, in corso Vittorio Emanuele 9, a Torino. Lì, i fratelli Ceriano costruiscono biciclette con il marchio “Welleyes” (anche allora ci voleva un nome straniero per
far apprezzare un prodotto). Mica cose normali, velocipedi, che a fine Ottocento, sono l’argomento più positivista che c’è. Ma i Ceriano, che hanno assunto il giovane Lancia come meccanico con la qualifica di ragioniere (per far contento il padre) sentono il vento che cambia.

I brevetti Lancia e Giovanni Agnelli

Lancia Alfa Sport 1908 foto Tomislav Medak
Lancia Alfa Sport 1908 (foto Tomislav Medak)

In Germania, in Francia si stanno provando i motori applicati alle carrozze, l’automobile (maschile, come scriveva D’Annunzio) insomma. E anche a Torino non si sta a guardare. I “biciclettai” producono una vetturetta su progetto dell’ingegnere Faccioli, con lo stesso nome di Welleyes. Giovanni Agnelli fa un’offerta, e con trentamila lire si porta a casa vettura e brevetti, Lancia compreso. La Welleyes diventa la Fiat 3,5 HP e Vincent collaudatore; anzi, pilota. È lui a correre la prima corsa in salita del mondo, la
Susa-Moncenisio, nel luglio 1902: ventidue chilometri per 1600 metri di dislivello.

Su Fiat 24 HP, tiene la media di 44 chilometri orari e vince sul traguardo del Colle, in trenta minuti (una diligenza copriva lo stesso percorso in sette ore!). E, nel 1904, vince ancora, in ventidue minuti, raggiungendo la folle velocità media di 59 chilometri orari. E poi a Clermond Ferrand, la patria della Michelin (1905) il Trofeo Gordon Bennett, la Targa Florio e addiruttra la Florida, dove le sue vittorie diventano leggendarie, tanto che i bambini americani vogliono giocare con le Lancia car. Incredibile. Come dice Baricco (“Questa storia”, Fandango): “l’automobile era regina, perché come serva non era ancora stata pensata…e la gara era il suo trono, la sua corona…”.

Collaudatore, pilota? No, costruttore di successo

Lancia Museo auto I folli anni venti
©Museo auto I folli anni venti

Ma Vincent non si accontenta. Non vuole fare lo scavezzacollo, vuole progettare, costruire. Il 29 novembre 1906, cent’anni fa, firma. È l’atto di costituzione della Lancia che segue la nascita, sempre a Torino, di Lega Industriale (che diventerà Confindustria) e Riv, la fabbrica di cuscinetti per auto. La Lancia&C snc si insedia nell’ex stabilimento della Itala, via Ormea 89 (che ingrandirà progressivamente). Sì, proprio la Itala leggendaria, quella che stupisce il mondo vincendo la Pechino-Parigi nel 1907. Poi, nel 1911, nasce lo stabilimento di via Monginevro, Borgo San Paolo, un quartiere che per i torinesi è sinonimo di lotte operaie.

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I modelli che fanno la storia di Lancia

Lancia_Lambda_1923
Lancia Lambda 1923 (foto di Martin Hans)

Da San Salvario a San Paolo, la Lancia trova finalmente la sua casa. E inizia il suo cammino trionfale. A colpi di stile e innovazione. Nel 1913 la Theta, con il primo impianto elettrico; nel 1922 la Lambda, che anticipa la scocca portante e le sospensioni anteriori a ruote indipendenti (e il matrimonio con la segretaria, un classico anche questo, Adele Miglietti, che gli dà tre figli); nove anni dopo, nel 1931, l’Astura, montaggio elastico del motore, che non trasmette vibrazioni; 1933, l’Augusta, prima berlina al mondo con carrozzeria monoscocca.

E così via, di successo in successo, fondendo innovazione, qualità, design, fascino. Come dicevano i futuristi, “l’auto è un modello estetico che sfida la Vittoria di Samotracia”. Le Lancia diventano “auto da cinema”, dapprima con il grande “muto” torinese, poi con quello dei “telefoni bianchi”, romano e di regime.
Intanto, però, Vincent muore. Nel 1937, a 56 anni, per un attacco di cuore. Subito dopo aver lanciato l’Aprilia, quell’auto dal design tanto “perfetto” da risultare naturale.

Definitivo ritorno alla Fiat

La monoposto D50 di Formula Uno del 1954 ora conservata al Museo dell'Automobile di Torino
La monoposto D50 di Formula Uno del 1954 ora conservata al Museo dell’Automobile di Torino

Seguono il bombardamento alleato degli stabilimenti (1942) e le lotte per difendere la fabbrica fino all’insurrezione finale del Quarantacinque. Poi Aprilia, Ardea, Appia, Aurelia (quella del “Sorpasso” di Dino Risi), Flaminia. I bolidi rossi guidati da Fangio e Ascari nella Formula Uno e i bolidi che stravincono a ripetizione il Rally di Montecarlo. Flavia (trazione anteriore, freni a disco, iniezione della benzina) Fulvia, Delta, lanciano l’ultima sfida. Già, perché un comunicato Fiat del 29 ottobre 1969 mette la parola fine.

La Lancia torna all’azienda che aveva già reclutato il giovane Vincent per farne un collaudatore e un corridore. Che cosa resta di quella grande avventura? Le risposte sono molte. Bisognerebbe chiedere agli appassionati dei “Lancia Club”, che ha sezioni in Australia come in Giappone, in Finlandia come in Sud Africa, perché lo fanno. Oppure analizzare i progetti Lancia all’interno del Gruppo Fiat. C’è qualcosa, nelle idee di Vincent sull’auto, che ha sempre camminato e ancora cammina. E allora, godiamoci questo centenario.

Feste e mostre per i cent’anni Lancia

Salone dell'auto Il-Grande-garage-del-futuro
© Salone dell’auto “Il Grande garage del futuro”

C’è stato il “Lancia Tour Italian Design”, partito dall’Arco della Pace di Milano con tappa a Parigi, Barcellona, Madrid, Venezia; una mostra di auto leggendarie, dalla Lambda Torpedo (1925) alla Fulvia Coupé (1967) fino alla Ypsilon Momo Design, abbinate a oggetti di design famosi; e la videoinstallazione di Brunetta “Area della Memoria”. C’è il Calendario del Centenario, firmato dalla Armando Testa e dal fotografo Fulvio Bonavia. Ci sono le versioni del Centenario di Ypsilon,  Musa, Thesis.

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E poi ci sono i “luoghi”. Quelli “sociali” a Torino. Come gli ex stabilimenti di via Monginevro 99 (e vie adiacenti, ora recuperati per farne spazi pubblici) con l’entrata di corso Peschiera (Frapolli, 1919) con il portale liberty, il grattacielo Lancia (Rosani, 1964, via Lancia) l’ex centrale di via Limone, diventata la sede della “Fondazione Mario Merz” (con molte opere del maestro). E, naturalmente, il Museo dell’Automobile (www.museoauto.it) dedicato a Carlo Biscaretti, disegnatore del logo Lancia. Quelli “della velocità”, dove si sono fatte le prime corse: la Sassi-Superga, la Pino-Chieri, la Susa-Moncenisio.

I luoghi piemontesi del ricordo

La Basilica di Superga
La Basilica di Superga

Bella, la collina torinese. Si può partire con la cremagliera da Sassi e arrivare alla Basilica iuvarriana di Superga (672 metri) dove il panorama è eccezionale: la città, il Po e quattrocento chilometri di Alpi. Eretta nel 1731 come ringraziamento del Duca Vittorio Amedeo II per aver respinto l’Assedio di Torino dei francesi di Luigi XIV, è una delle perle barocche della città, nota per essere stata l’ostacolo decisivo all’aereo che portava il Grande Torino a casa, il 4 maggio 1949 e per un marchio di scarpe leggendarie. E bello anche salire al Colle del Moncenisio (2081 metri) in territorio francese (come compensazione dopo l’ultima guerra) con un grande lago artificiale dalle acque turchesi, le vecchie fortificazioni e una bella sensazione di montagna.

La Valsesia e Fobello

Val Mastallone, Fobello.
Val Mastallone, Fobello.

Da Susa (Arco di Augusto, Cattedrale di San Giusto) la strada si arrampica in molti tornanti, fino al salto finale, detto della “Gran Scala”, dove pare di rivivere l’atmosfera di quelle prime corse. Infine, la Valsesia. I luoghi dell’infanzia, del riposo. Da vedere Varallo, il Sacro Monte, le chiese (magnifici cicli di Gaudenzio Ferrari) il borgo. Ma poi bisogna salire la stretta strada della Val Mastallone, e arrivare a Fobello. Un villaggio con trenta frazioni, fondato da pastori del XIV secolo, con una bella Via Crucis, le ville dei borghesi di fine Ottocento (Villa Musy, Villa Lanza, Villa Lancia alla Muntà) il Museo del Puncetto (pizzo), l’Erbario Carestia-Tirozzo e, già che ci siamo, il panificio Vulaiga e il caseificio di Roi. Poi c’è la “troppo” grande chiesa di San Giuseppe e il cimitero, al di là del torrente. Una di quelle tombe recita: “Vincenzo Lancia”. Stop.

Info:

TurismoTorino: tel. 011 535181 – www.turismotorino.org

ATL Valsesia, Varallo (Vercelli): tel. 0163 564404 – www.atlvalsesiavercelli.it

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