Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Ponape, mini-Venezia della Micronesia

Il mistero di Nan Madol Nan Madol Oggetto del mistero e dell’attrazione (“highlight”, direbbero i giramondo “yankee”) è Nan Madol, una città morta, vero rompicapo per gli archeologi che nonostante tanti studi e altrettante supposizioni sono a malapena risaliti alla sua età (si ipotizza il XIV secolo). Si tratta di isole artificiali all’interno della barriera corallina – separate da un dedalo di canali resi ancor più intricati dalle mangrovie – sulle quali sono stati eretti edifici composti da blocchi di basalto pesanti varie tonnellate e trasportati (un mistero come) da un lontano, aguzzo sperone di roccia che a mò di … Leggi tutto

Il mistero di Nan Madol

Nan Madol
Nan Madol

Oggetto del mistero e dell’attrazione (“highlight”, direbbero i giramondo “yankee”) è Nan Madol, una città morta, vero rompicapo per gli archeologi che nonostante tanti studi e altrettante supposizioni sono a malapena risaliti alla sua età (si ipotizza il XIV secolo).
Si tratta di isole artificiali all’interno della barriera corallina – separate da un dedalo di canali resi ancor più intricati dalle mangrovie – sulle quali sono stati eretti edifici composti da blocchi di basalto pesanti varie tonnellate e trasportati (un mistero come) da un lontano, aguzzo sperone di roccia che a mò di faro sovrasta Kolonia.
Davvero una meraviglia, quindi gli studi nel cercare di capirne le vicende, vanno compresi e giustificati. Se si pensa che non scema la nostra ammirazione verso chi costruì abilmente città acquatiche come Venezia e Amsterdam, in epoche storiche in cui l’Europa aveva già dietro le spalle secoli di grande cultura, ci sembra giusto dedicare un plauso (beninteso fatte le dovute proporzioni, sia in termini di dimensioni che di estetica) verso sprovveduti indigeni che, si permetta la volgarità di una espressione ormai di moda, nel buco del sedere del mondo affrontarono e risolsero calcoli talvolta ancora ostici per qualche odierna impresa di costruzioni.

Tra spagnoli, tedeschi, americani e giapponesi

Dal faro giapponese
Dal faro giapponese

L’interesse storico proposto da Ponape non si circoscrive a Nan Madol, ma si estende agli ultimi due secoli delle vicende universali. Negli ultimi anni del XIX secolo l’impero spagnolo ormai alla frutta e quello tedesco sorto dall’unificazione operata dal Kaiser, non trovarono di meglio che scontrarsi in scaramucce, quasi battaglie, in questo remoto angolo del Pacifico. Notevole la visita ai resti del Forte Alfonso XIII (poco distante si osserva il campanile della Missione Tedesca) e al cimitero di Kepinle che ospita accomunati gli indigeni che nel 1910 si rivoltarono contro il dominio coloniale e i marinai dell’incrociatore Emden che sbarcarono per imporlo.  
A metà del XX secolo, con combattimenti noti anche ai sommari conoscitori della storia contemporanea, solo perché immortalati dalla cinematografia, Ponape e le altre isole dell’arcipelago micronesiano furono vittime della guerra tra i Marines di John Wayne e la Marina Imperiale di Hiro Hito.

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Ospitalità “italo-yankee”

The Village
The Village

Fortunatamente più tranquilli e sereni i recenti anni che seguirono al Secondo Dopoguerra, grazie soprattutto al “boom” dei trasporti aerei favorenti quel grande fenomeno socio-economico chiamato Turismo.
Chicca deliziosa di Ponape (che dispone soltanto di semplici strutture alberghiere per visitatori senza grandi pretese) è senza dubbio il The Village.  Il soggiornarvi, si diceva un tempo, vale il viaggio. Un resort di ventidue  bungalow a mezza costa, immersi nella foresta digradante sul reef (il panorama dal bar Tattoed Irishman incanta e fa rivivere i racconti di Conrad sui Mari del Sud). La semplicità spartana delle costruzioni si alterna con dettagli curiosi non meno che raffinati (abatjours vittoriane e materassi ad acqua) grazie al buon gusto e all’olio di gomito dei coniugi Arthur, che si costruirono il The Village pezzo per pezzo, con le loro mani (e nel contempo crescevano tre figli) mentre prestavano il servizio civile “made in Usa”.
Il padre di Patty, la signora Arthur, era di Crema e in tutta schiettezza non dispiace scoprire i resti dell’intraprendente “voglia di fare” padana, in un posto quasi introvabile chiamato Ponape, in Micronesia.
Ah (per chi volesse fare un salto da quelle parti): Patty Arthur spiega ben chiaramente che nel suo The Village vuole i viaggiatori, non i turisti.

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