Giovedì 28 Marzo 2024 - Anno XXII

Bagno Turco alla milanese

Tempo tiranno. Tempo che fugge. Tempo che non basta mai. Tempo che improvvisamente si ferma, quando una certa Milano si scioglie nei fumi caldi di un Hammam

Dal tiepido al caldo intenso

Caldi vapori nel
Caldi vapori nel “calidarium”

Da una ciotola di legno prelevo il “rasoul”, morbido impasto d’argilla e olio di mandorle, con cui ci si cosparge prima di entrare nel “calidarium”: è arrivato il mio momento di entrare nell’altrimenti detta “stanza dell’inferno”.
Vagamente preoccupata all’idea di arrostirmi in una stanzetta surriscaldata (si va dai 30 ai 60° C), entro in una nebbia di vapore caldissimo, ma non sgradevole.
Anche qui acqua che scorre, che ora si condensa verso l’alto e poi ricade sulle panche di marmo in leggere gocce infuocate.
Il silenzio è improvviso, quasi religioso. I movimenti si fanno ancora più fluidi, mentre il respiro è più lento e profondo.
Il caldo è molto, ma non intollerabile; comunque ci si ferma a seconda delle proprie inclinazioni: chi pochi minuti, chi interi quarti d’ora, chi per un’unica sosta.
Chi ancora – come me – ritorna più volte al tepidarium e rientra poi di nuovo al calidarium.

Cure marocchine e chiacchiere

La sala relax
La sala relax

Fin qui tutto bene, si socializza se si vuole, altrimenti ognuno può starsene per conto proprio. Contatto fisico zero. Almeno fino a quando esco dal calidarium per passare alla fase “peeling più lavaggio”. E lì c’è il crollo di ogni tabù occidentale e idiosincrasia per il contatto epidermico con sconosciuti.
Una simpatica marocchina di quarant’anni mi chiede con indulgenza se è la prima volta che vado da loro, mentre come inizio mi passa con delicatezza un guanto di crine su tutto il corpo e poi mi insapona, mi lava i capelli, mi sciacqua. L’ultima volta che una donna si è presa cura in questo modo del mio corpo avevo sì e no cinque anni, e la sensazione è spiazzante: pudore, imbarazzo, l’impressione di non sapere bene cosa fare, dove mettere mani, piedi, parole.
Cerco, scioccamente, di distrarmi, e mi faccio raccontare qualcosa di lei, della sua terra, dei bagni turchi della sua prima giovinezza. Scopro così che ci sono poche differenze tra l’hammam della propria terra d’origine e questo: solo stanze più grandi e spesso meno raffinate, e più donne! Più rumore, più risate, quella naturalezza di ritrovarsi tra femmine e celebrare la liturgia della bellezza condivisa.
Sarà la mia compagna, sarà la musica cantilenante in sottofondo, sarà il cicaleccio indistinto: improvvisamente sono a chilometri di distanza da Milano, in un’altra città, in un Paese diverso.
A questo punto, totalmente privata della possibilità di vergognarmi di alcunché, vengo accompagnata al “frigidarium”, per me l’unico vero shock del percorso.
Mi immergo in una piccola vasca con idromassaggio, ma l’acqua, che in realtà si aggira intorno a dignitosissimi 20° C, mi sembra insopportabilmente fredda.
Cedo miseramente dopo pochissimi minuti, e sotto lo sguardo divertito del mio “angelo custode” mi tuffo dentro un accappatoio candido. Prima di essere rispedita al calidarium “per riscaldarmi”, come dice l’angelo.

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Dopo il caldo, il freddo, finalmente il massaggio

Bagno Turco alla milanese

Sono quasi al termine del percorso, che contempla il momento più ambito da tutte, da quello che ho capito origliando e domandando qua e là: il momento del massaggio.
In una stanza in penombra, adagiate pigramente su stuoie e cuscini, aspettiamo di venire massaggiate letteralmente da capo a piedi con crema alla rosa o olio di mandorle. I movimenti sono delicati, esperti ma non profondi né intrusivi, e il silenzio concilia un rilassamento che sconfina pericolosamente con l’abbiocco incombente.
In realtà il massaggio non dura (purtroppo!) abbastanza da addormentarsi, cosa che però succede spesso quando ci si accoccola nuovamente tra i cuscini.
Trascorre ancora del tempo – davvero? è passato? – fino a quando mi decido: ho un appuntamento per una certa ora, e non voglio arrivare in ritardo.
Mi alzo. Tranquilla, rilassata, levigata e profumata. Praticamente un’altra donna.
Mi sento anche vagamente virtuosa per non essermi addormentata e aver goduto ogni singolo istante di queste ore dedicate a me stessa: non mi sono lasciata distrarre da me, ho chiacchierato poco e osservato molto, ho ritrovato il piacere di stare da sola, in silenzio, in mezzo ad altre donne.
Mentre mi congratulo con me stessa, ascolto distrattamente qualcuno che domanda che ore siano. Altrettanto distrattamente registro la riposta, fino a quando non realizzo due fatti sconcertanti: ho completamente perso la nozione del tempo, e sono clamorosamente in ritardo per il mio appuntamento.

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